Immaginate di trovarvi dentro ad un sottomarino mentre scendete sempre di più negli abissi dell’oceano, spingendovi fino a dove nessun essere umano è mai stato, emozionandovi sempre di più all’idea di posare gli occhi su qualche specie ancora sconosciuta alla scienza e poi di colpo…turbamento e delusione. Deve essere andata più o meno così per Victor Vescovo quando nel 2019 si è calato fino a 10.928 metri di profondità (record assoluto, dato che James Cameron qualche anno prima si era fermato a “soli” 10.898 m) dentro alla Fossa delle Marianne e ha trovato involucri di caramelle, un sacchetto e pezzetti di plastica.
Tutte le vie del mare della plastica
Constatare che i rifiuti prodotti dall’uomo sono riusciti ad arrivare persino nel punto più profondo della Terra, nella fossa creata dall’incontro tra la placca del Pacifico e quella delle Filippine, purtroppo non è l’unico dato preoccupante: nel 2020 sono state trovate dai ricercatori dell’Università di Newcastle tracce di PET, la plastica utilizzata ad esempio per le bottiglie, dentro ad alcuni crostacei appartenenti ad una specie ignota che le avevano ingerite pur vivendo proprio nella Fossa delle Marianne. Lo scopo di chiamare la nuova specie Eurythenes plasticus è quello di “sottolineare il fatto che dobbiamo agire immediatamente per fermare lo tsunami di rifiuti di plastica che si riversa nei nostri oceani” ha detto il ricercatore capo dell’Università. Parlare di tsunami non è affatto eccessivo.
Anche concentrandosi solo sui rifiuti galleggianti le quantità sono spaventose e ben rappresentate dalle 7 isole di plastica che si sono ormai formate negli oceani, con la Great Pacific Garbage Patch, la più estesa, che è grande 3 volte la Francia. |
Eppure si stima che solo l’1% della plastica abbandonata ogni anno finisca in questi ammassi giganteschi, mentre la maggior parte rimane sulla spiaggia a frammentarsi per poi finire nelle acque sempre più profonde o addirittura nei ghiacci Artici. Anche se non più visibile la plastica non sparisce e anzi si accumula silenziosamente, tanto che sul fondo del Mediterraneo ormai si contano 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato e gli scienziati sono convinti che il reale serbatoio di plastica sia rappresentato proprio dai fondali. Ovviamente, il rischio immediato che corrono gli animali è quello di ingerire pezzi più o meno grandi di plastica, per i quali pesci, tartarughe e uccelli acquatici sembrano avere un’attrazione inspiegabile solo in apparenza. Qualsiasi oggetto plastico abbandonato in mare viene velocemente colonizzato da alghe che, quando vengo mangiate dal krill (un insieme di piccolissimi invertebrati marini di appena qualche decina di millimetri), rilasciano una sostanza chimica dall’odore davvero particolare, simile a quello dello zolfo: il dimetilsolfuro. Gli uccelli e le tartarughe marini hanno compreso che dove l’odore è più intenso si concentrano i piccoli gamberetti di cui sono a loro volta ghiotti. Ecco che un pezzo di plastica che profuma di dimetilsolfuro diventa ai loro occhi, o meglio alle loro narici, un bocconcino appetitoso che non esitano a inghiottire, cadendo vittime di una terribile trappola olfattiva.
Le microplastiche
Oltre agli oggetti macroscopici, mari e oceani sono pieni di minuscoli frammenti altrettanto pericolosi: le microplastiche. Queste particelle, che non superano il millimetro, derivano spesso dalla frammentazione di oggetti più grandi e hanno una diffusione ancora più capillare e preoccupante ma di cui difficilmente ci si rende conto proprio per una questione di dimensioni.
Anche questi microscopici pezzetti vengono facilmente ingoiati dagli organismi marini perché scambiati con il plancton e risalgono la rete alimentare passando da preda a predatore fino ad accumularsi in grandi quantità nei predatori al vertice e in ultimo anche negli esseri umani (sono stati trovati dentro a dei campioni di sangue). |
Buone pratiche di lotta alla plastica
Si può fare qualcosa per limitare questa insidiosa minaccia? L’aspetto positivo è che se basta poco per rilasciare le microplastiche in ambiente, anche in modo inconsapevole, basta altrettanto poco per riuscire a interrompere la diffusione. Si potrebbe ad esempio conservare il cibo rimasto, che ovviamente è meglio non buttare per evitare gli sprechi, non utilizzando la pellicola monouso ma contenitori in vetro coperti da tappi adattabili in silicone. Il PVC (polivinilcloruro) di cui è composto il cellophane si accumula in grandi quantità nei fiumi per poi finire nel mare e divenire responsabile del 52% delle microplastiche ingerite dai delfini. La scelta di mangiare frutta e verdura di stagione è utile per limitare la coltivazione in serra che comporta l’utilizzo di teli di copertura in plastica che lentamente, a causa del sole e della pioggia, si deteriorano rilasciando dannose particelle. Bisogna poi stare attenti alle gomme, sia quelle da masticare che - nonostante sembri assurdo - contengono vari polimeri a base di petrolio, cioè plastica, e quando non smaltite nel modo corretto si degradano in ambiente, sia quelle degli pneumatici soggetti all’abrasione ogni volta che si usa il mezzo di trasporto: meglio spostarsi il più possibile a piedi! Per lavare le stoviglie o sotto la doccia sarebbero da evitare spugne composte da materiali plastici che con l’utilizzo si sminuzzano intasando lo scarico e finendo in mari e oceani; un’ottima alternativa è rappresentata dalle spugne in luffa (materiale ottenuto da una pianta simile alla zucca) o in cellulosa.
Sempre in tema lavaggi ci sono delle semplici accortezze da seguire anche per la lavatrice: impostare sempre alte temperature e centrifughe rovina i vestiti e se questi sono sintetici si possono rilasciare persino 1 milione di microfibre per ogni lavaggio! |
Per quanto sorprendente le microplastiche si nascondono pure nei prodotti del make-up per ottenere l’effetto glitter e quando ci si lava il viso o il corpo le pericolose particelle finiscono nello scarico; non sono da meno le salviette struccanti composte perlopiù da plastica e prodotti di sintesi che vengono purtroppo gettate spesso nel wc causando inquinamento.
Per un’estate plastic-free
Estate è per molti sinonimo di mare e di protezione solare, spalmata abbondantemente sulla pelle, ma in una sola bottiglia di queste creme possono essere contenuti addirittura 100.000 miliardi di microplastiche per garantirne la giusta consistenza e la lunga durata; è evidente che farsi il bagno in mare o la doccia implica rilasciare in acqua queste pericolose particelle. Una crema naturale invece protegge chi la usa e anche l’ambiente. E se ci si vuole rinfrescare in spiaggia con un po’ di gavettoni? I palloncini sono interamente di plastica e i frammenti rimasti nella sabbia non si degradano mai: divertiamoci a gettarci acqua addosso con contenitori riutilizzabili.
Lo stesso vale per le feste in spiaggia dove abbondano palloncini, magari riempiti di elio quindi in grado di spostarsi per kilometri per poi finire in mare ed essere ingoiati dagli animali: con coriandoli di carta ci si diverte ugualmente senza danneggiare l’ambiente. Si tratta davvero di piccole ma fondamentali azioni attraverso le quali ognuno può fare la sua parte; non dimentichiamo che “gutta cavat lapidem”.