Dalle note trimestrali sulle tendenze dell’occupazione pubblicate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si nota che la curva delle cessazioni dei rapporti di lavoro ha virato verso l’alto lungo l’intero corso del 2021. Per avere un termine di paragone, da gennaio a settembre del 2021 oltre 1 milione e 300mila persone si sono licenziate; nello stesso periodo dell’anno precedente erano un milione.
Perché gli italiani sono così propensi a cambiare lavoro? Di sicuro la ricerca di migliori condizioni economiche ha un peso, ma c’è anche molto altro. Le motivazioni principali sono la mancanza di sviluppo personale o professionale e di carriera, la mancanza di riconoscimento e la paura del burnout, fattore ampiamente al primo posto tra gli imprenditori e manager con oltre il 43%. Tutti fattori strettamente connessi alla felicità in azienda.
Il diritto del lavoro e il sistema generale devono prenderne atto: è necessario un cambio verso una sartoria gestionale e la cultura aziendale che funga da faro di riferimento. Il “come stiamo” e la questione del benessere sono ineludibili e guidano le nostre scelte. E non si tratta solo di benessere fisico ma anche relazionale, psicologico, emotivo.
Sempre più di frequente le persone scelgono le aziende dove vogliono dare il loro contributo e che vogliono accompagnare nella crescita. Sentirsi davvero ascoltati, riconosciuti, coinvolti, inclusi è una parte indispensabile della relazione con le organizzazioni. Poter crescere e sapere esattamente che trasparenza e meritocrazia guidano le carriere delle persone è fondamentale per investire ogni giorno le proprie energie in un percorso sostenibile.