Un grande albero europeo. Una specie che sa emozionare e che è disponibile in diverse varietà. Senza dimenticare gli altri Fagus e il “cugino” australe.
Passeggiare all’interno di una faggeta è un’esperienza quasi religiosa: i fusti, alti e snelli, somigliano alle colonne delle navate di una chiesa gotica e sembrano spingersi sino al cielo dove sorreggono una chioma di rami slanciati di colore grigio pallido. Molto diffusi in Europa – alcune interessanti foreste sono presenti anche nel nostro Paese – i faggi hanno stretto una fitta collaborazione con le comunità umane sin dall’antichità. Cantata da Virgilio nelle Bucoliche, nelle quali il poeta declamava la loro ombra rinfrescante, questa specie (Fagus sylvatica) deriva il proprio nome da una radice indoeuropea comune sia al latino Fagus (ossia l’epiteto generico della nomenclatura scientifica) sia al tedesco Buch (ossia libro), a testimoniare il fatto che dalla corteccia del faggio era anticamente ricavata la carta. Una materia prima tanto semplice quanto fondamentale per lo sviluppo della civiltà europea. Nel corso dei secoli, poi, vennero scoperte numerose altre applicazioni del legno o della corteccia. Tra queste, di particolare importanza e interesse, è stata la scoperta di un tannino contenuto nella corteccia dei rami, utilizzato fino a tempi recenti nell’industria farmaceutica come tonico e febbrifugo; parimenti una sostanza estratta dal legno (il creosoto) è stato utilizzato nella composizione di sciroppi come disinfettante delle vie aeree.
Non deve stupire quindi se il faggio assume il ruolo di simbolo, di albero cosmico in grado di unire cielo, terra e inferi, portando nutrimento e vita all’intero pianeta. Secondo Macrobio – scrittore e funzionario romano del IV secolo dopo Cristo – il faggio era considerato uno degli arbores felices e, per questo, con il suo legno erano realizzate le coppe destinate ai riti sacrificali. Ma questo albero imponente ha stimolato la fantasia popolare anche nel corso dei secoli successivi tanto che oggi sono numerose le leggende che lo riguardano. In Bretagna, per esempio, si dice che alcuni alberi siano in realtà abitati dalle anime che devono espiare una pena: ne sa qualcosa il contadino Hervè Mingam che una notte, nei pressi del suo casolare, ha sentito un vociare leggero: erano le anime dei suoi genitori che, racchiuse in due faggi, pativano il freddo come penitenza per il fatto di non aver aiutato sufficientemente i poveri nel corso della loro vita.
Il faggio europeo e le sue varietà
Fagus sylvatica è una specie prevalentemente forestale e ornamentale, sebbene quest’ultima funzione sia pienamente svolta solo laddove è sufficiente lo spazio disponibile al pieno sviluppo dell’imponente architettura vegetale della specie. Di norma, infatti, i migliori soggetti sono reperibili in grandi parchi privati o in spazi pubblici. In natura il faggio è la specie arborea dominante in molti boschi di latifoglie delle Alpi (al di sopra dei 500 metri sul livello del mare) e degli Appennini (al di sopra dei 900 metri s.l.m.), abitudine ecologica dal quale deriva l’epiteto specifico (sylvatica, ossia tipico della foresta).
Si tratta di una specie molto longeva che può prosperare per svariati secoli se le condizioni agroclimatiche lo consentono. Anche grazie a questo sviluppo secolare e stratificato dal tempo, dal 2012 alcune faggete italiane sono state riconosciute come patrimonio Unesco. Come spesso accade per le specie dalla lunga vita, la crescita è molto lenta. L’architettura vegetale è maestosa con fusto poco rastremato, dotato di corteccia liscia e sottile di colore grigio chiaro con striature orizzontali. Sulla corteccia sovente si sviluppano comunità di licheni di colore chiaro, assolutamente innocue per la pianta. Inizialmente la pianta presenta uno sviluppo prevalentemente verticale mentre, in fase di maturità, una volta “vinta” la competizione per la radiazione luminosa, la chioma si espande sino a raggiungere diametri considerevoli.
In campo ornamentale, il fascino del faggio ha favorito la ricerca varietale e, oggi, sono numerose le cultivar che possiamo porre a dimora nei nostri giardini. Una delle più apprezzate e sorprendenti è la varietà ‘Asplenifolia’, del tutto simile alla specie salvo che per le foglie, profondamente incise. Notevoli anche le cultivar piangenti – quali la ‘Pendula’ o, la più recente e di misure inferiori, ‘Purple Fountain’ – che si distinguono per i rami ricadenti, molto scenografici. Chi non volesse rinunciare al faggio pur avendo a disposizione spazi ridotti in giardino può optare per le varietà assurgenti quali la ‘Dawyck’, di forma molto compatta, la ‘Dawyck Gold’ con foglie giovani di colore giallo dorato e la ‘Dawyck Purple’ le cui foglie sono invece di colore rosso. Da non dimenticare, infine, la varietà ‘Tricolor’ che ha avuto una discreta fortuna sebbene relativamente delicata da giovane.
Altre specie del genere Fagus
Fagus sylvatica – insieme alle sue varietà – è certamente la specie più conosciuta e diffusa in Italia e in Europa; tuttavia, non è l’unica rappresentativa di questo genere botanico. Sono conosciute almeno dieci diverse specie di faggio e vale la pena ricordarne almeno due, native e diffuse nell’emisfero boreale come tutti i Fagus. Si tratta di Fagus orientalis e di Fagus sinensis.
La prima specie – conosciuta con il nome volgare di faggio orientale – è un albero di grandi dimensioni che può lambire i 45 metri di altezza, anche se di norma non supera la trentina. Fagus orientalis è un parente stretto del “nostro” Fagus sylvatica con il quale può formare ibridi denominati Fagus x taurica, frequenti nei Balcani e nella penisola anatolica dove l’areale di diffusione delle due specie è parzialmente sovrapposto. Più in particolare, Fagus orientalis è diffuso ad altitudini comprese tra i 500 metri e i 2100 metri sul livello del mare. A livello ornamentale è conosciuta – anche se ancora poco diffusa – la varietà ’Iskander’ dal portamento fastigiato e imponente, adatta per viali o come pianta singola.
Fagus sinensis è invece un albero che può raggiungere i 25 metri di altezza ed è diffuso nelle regioni meridionali della Cina e nel Vietnam, dove vegeta nelle foreste di latifoglie ad altitudini comprese tra i 300 e i 2400 metri sul livello del mare. Si tratta di una specie poco conosciuta e utilizzata a livello giardinistico e paesaggistico e la cui esistenza, in natura, è minacciata tanto da esserle riconosciuto lo status di specie vulnerabile.
I faggi australi
I faggi australi appartengono al genere Nothofagus che, letteralmente, significa “falso faggio”. In effetti, le piante di questo genere presentano molti tratti in comune con i nostri faggi tanto che in passato – quando i botanici disponevano solo dell’osservazione visiva per classificare i vegetali – erano ritenuti accomunati e inseriti all’interno della medesima famiglia. Successive e più sofisticate ricerche hanno invece permesso di comprendere che i due generi botanici – Fagus e Nothofagus – in realtà non sono nemmeno lontanissimi parenti. Si tratta, infatti, di un caso molto interessante di convergenza evolutiva, fenomeno per il quale specie diverse – ma che vivono e si sviluppano in habitat relativamente simili – possono evolvere naturalmente manifestando una morfologia simile sotto diversi aspetti.
I faggi australi sono un genere che compendia circa quaranta specie diverse, molte delle quali fondamentali per le popolazioni che hanno colonizzato le propaggini meridionali dell’America latina. Testimonianze della loro importanza sono evidenti nei miti tramandati da alcune popolazioni native della Terra del Fuoco e, in tempi più recenti, dall’uso che del legname ha fatto l’industria cilena.
Nothofagus presenta un notevole adattamento ecologico e, infatti, può formare fitti boschi dal livello del mare sino al limite delle nevi. Le specie più interessanti di questo genere sono con tutta probabilità N. antarctica, N. betuloides e N. pumilio che, nel complesso, sono conosciute come specie “magellaniche”. Queste si sviluppano all’interno di un territorio estremamente complesso, caratterizzato da situazioni climatiche difficili con temperature estremamente basse e ventosità elevata, fattori che modificano lo sviluppo morfofisiologico delle piante e ne condizionano l’architettura vegetale. Basta pensare che, a seconda delle condizioni climatiche locali, Nothofagus pumilio può assumere addirittura un portamento arbustivo. Cosa, tuttavia, che non condiziona le peculiarità tecnologiche del suo legno, apprezzate dall’industria dell’arredamento, proprio come accade per il cugino europeo.